Referendum. Nessuno ne parla. Noi vi ricordiamo di cosa si tratta.
Intanto le informazioni pratiche: si vota domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15.
Sono 5 i quesiti. I primi quattro riguardano materie di lavoro e sono stati promossi dalla Cgil e altri soggetti che hanno raccolto oltre 4 milioni di firme. Il quinto è sulla cittadinanza. Il referendum perché sia valido occorre comunque che esprimano il loro voto almeno il 50% più 1 degli aventi diritto.
Ecco una guida sulle consultazioni legate ai temi del lavoro, scheda per scheda.
Scheda 1 (verde): licenziamenti, il reintegro nel proprio posto? Solo in un caso. Perché non si torna all’articolo 18
Il quesito sul “Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi” (n. 1 schede verde) interviene sul trattamento che il giudice può decretare dopo aver stabilito che il lavoratore è stato licenziato in maniera non corretta nelle aziende oltre i 15 dipendenti. L’obiettivo della Cgil che l’ha proposto è quello di ripristinare il reintegro del dipendente licenziato in maniera illegittima nel suo posto di lavoro, così come prevedeva originariamente il famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. In realtà, la questione è più complessa e ha a che fare non solo con il Jobs Act o meglio il decreto 23 del 2015 sulle “Tutele crescenti” di cui si chiede l’abrogazione, ma anche con le sentenze della Corte Costituzionale che hanno cambiato di molto la riforma approvata dal Governo Renzi. E soprattutto con la precedente normativa – la riforma Fornero varata nel 2012 dal Governo Monti – che aveva già modificato quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori e ristretto le possibilità della reintegra (la cosiddetta tutela reale) nel posto di lavoro. Per comprendere meglio la posta in gioco, occorrono allora alcune precisazioni preliminari. Anzitutto i contratti a Tutele crescenti su cui interviene il quesito referendario si applicano solo ai rapporti di lavoro costituiti dal 7 marzo 2015 in poi. Per tutti gli altri rapporti si applica invece la legge Fornero. Nel caso dei licenziamenti illegittimi perché considerati nulli o discriminatori (motivati dal credo religioso o per l’appartenenza a un sindacato o per l’orientamento sessuale, l’età ecc.) è sempre previsto il reintegro nel posto di lavoro. Negli altri casi in cui invece il licenziamento sia dichiarato “illegittimo”, oggi la normativa, così come “corretta” dalla Consulta, prevede che il giudice possa stabilire solo un risarcimento da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità (oltre sempre a stipendi e contributi non pagati nel periodo tra la fine della prestazione lavorativa e la sentenza).
Che cosa succede in caso di vittoria dei sì (e quorum valido)
Se il licenziamento individuale fosse stato intimato per un motivo ritenuto dal giudice insufficiente, si tornerebbe a un indennizzo di entità compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità così come previsto appunto dalla legge Fornero successiva allo Statuto dei lavoratori ma antecedente al Jobs Act. Nel caso invece di licenziamenti collettivi (almeno 5 dipendenti) in cui la scelta dei lavoratori sia stata indebita a giudizio della magistratura, il dipendente sarebbe reintegrato nel posto di lavoro.
Scheda 2 (arancione): risarcimenti senza limiti nelle piccole imprese. Maggiori tutele agli operai, meno certezze per le aziende
Il quesito sulle “Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale” (n. 2 scheda arancione) riguarda appunto le aziende che hanno meno di 16 dipendenti. In caso di licenziamento considerato illegittimo, in base questa volta alle leggi 604 del 1966 e la 108 del 1990, è previsto sempre e solo il risarcimento monetario e non la reintegra nel posto di lavoro (la cosiddetta tutela attenuata). La tutela reale, cioè la reintegra nel posto di lavoro scatta invece sempre (e solo) se la risoluzione del rapporto avviene per motivi discriminatori (a causa ad esempio del credo religioso o dell’appartenenza a un’organizzazione sindacale o per l’orientamento sessuale, l’età eccetera). Il referendum in questo caso interviene per eliminare il tetto massimo del risarcimento, fissato attualmente a 6 mensilità di stipendio, non cambia la natura della tutela.
Che cosa succede in caso di vittoria dei sì (e quorum valido)
Sarebbe il giudice a stabilire la misura del risarcimento senza un massimale preciso, potenzialmente molto più alto delle 6 mensilità oggi previste. Il magistrato per stabilire l’indennizzo potrebbe tener conto di diversi parametri come l’anzianità aziendale, i carichi familiari, l’età, il fatturato aziendale.
Scheda 3 (grigia): contratti a termine sempre con la causale.
Il referendum sull’“Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi” (n. 3 scheda grigia) riguarda i contratti a termine e la causale per accenderli. Quando la durata del rapporto di lavoro è pari o inferiore ai dodici mesi, i proponenti vorrebbero fosse imposto l’obbligo ai datori di lavoro di indicare nel contratto il motivo – la cosiddetta causale appunto – che oggi non è richiesta. Il quesito – che interviene sul decreto 81 del 2015, una parte del Jobs act – mira a limitare il ricorso ai contratti a termine rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato.
Che cosa succede se vincono i sì(e quorum valido)
Per assumere un lavoratore con un contratto a termine andrà indicata una motivazione tra quelle valide secondo la legge e i contratti collettivi nazionali per i rapporti a termine.
Scheda 4 (viola): infortuni, i committenti sempre corresponsabili.
Il quesito sull”Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici” (n. 4 scheda viola) riguarda l’abrogazione di un comma del decreto 81 del 2008 varie volte modificato fino al testo della legge 215 del 2021. In generale è sempre prevista la corresponsabilità solidale del committente e dell’appaltatore oltre che per il pagamento degli stipendi anche per il risarcimento dei danni da infortuni se non coperti dall’Inail. Oggi è però prevista un’eccezione che riguarda i «danni conseguenti ai rischi specifici propri delle attività delle imprese appaltatrici e subappaltatrici». Per capirci, forse è utile un esempio: se oggi una società che si occupa di vendite di scarpe procedesse alla ristrutturazione di un suo negozio, appaltando il lavoro a un’impresa edile, non sarebbe corresponsabile in solido dei danni da risarcire a un muratore che si ferisse usando il piccone. Questo perché il negoziante di scarpe fa un altro mestiere rispetto a un’impresa edile. I proponenti vorrebbero che la corresponsabilità ci fosse in qualsiasi caso.
Che cosa succede se vincono i sì(e quorum valido): La corresponsabilità solidale del committente si applicherebbe sempre e comunque, senza eccezioni.
L’8 e 9 giugno si voterà anche sulla legge del 1992 che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri (SCHERDA GIALLA). Secondo la legge in vigore, un adulto straniero maggiorenne, cittadino di un Paese che non fa parte dell’Unione Europea, deve risiedere legalmente 10 anni in Italia per poter chiedere la cittadinanza italiana. L’obiettivo del referendum abrogativo è ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Il termine dei dieci anni rappresenta la regola generale ed è tra i più lunghi in Europa. Il requisito dei dieci anni, secondo i promotori del referendum, non rispecchia la realtà di molti stranieri che vivono stabilmente in Italia e rischia di escludere anche i loro figli minori. Abbreviare i tempi a cinque anni, senza toccare gli altri criteri, come il reddito e la conoscenza della lingua, semplificherebbe un percorso oggi ostacolato dalla burocrazia avvicinando l’Italia agli standard di altri Paesi europei. Chi sostiene le ragioni del ’No’ ritiene invece che la legge attuale sia già adeguata e che l’Italia rilasci un numero troppo alto di cittadinanze rispetto ad altri Paesi.