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“La banda”, il libro premonitore di Claudia Giorgi

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Lui la afferra per un braccio e con l’altro la spinge dentro lo sportello aperto. Sento distintamente l’urlo soffocato di lei, e mi metto a correre. … intanto l’auto schizza via e io resto con il fiatone a guardare una targa che non riesco a identificare. …. Chiamo il 113, descrivo la scena. …. ….«Che vuole che facciamo? Ci mettiamo a cercare una macchina per la città? O magari fuori città?»

Una scena che oggi, sabato 25 novembre, è su tutti i giornali. Ne parlano radio e tv.

Ma queste righe sono l’incipit del romanzo “La banda” di Claudia Giorgi, la scrittrice di Latina che a marzo di quest’anno ha pubblicato una storia premonitrice del futuro. O che forse si è limitata a riportare storie sentite troppe volte in passato.

Da una parte ci sono forze dell’ordine che di fronte a una segnalazione troppo vaga non sanno oggettivamente da che parte andare e quindi non vanno, dall’altra parte c’è chi ha assistito nitidamente al preludio di un orrore, che proprio perché preludio di un orrore è svanito in un attimo.

L’autrice pontina, dirigente per una multinazionale del campo chimico, scrive di una banda di donne che si organizza per proteggere le altre donne. Quando viene richiesto il loro aiuto e quando percepiscono che qualcosa non va. Può essere uno sguardo improvviso, soprattutto inedito, a svelare una persona. Eppure è quell’impressione che si insegna a ignorare perché bisogna dare alle persone più opportunità.

“La banda” sono donne che uccidono gli uomini che stanno per ucciderle. È il grido di aiuto prima dell’ultima spiaggia. E non è misandrìa perché nella narrazione ci sono figure maschili positive. La capobanda ha un fidanzato che ovviamente non si accorge di nulla, praticamente dorme con Eva Kant e non lo sa. C’è il commissario che ha capito tutto, che “sento come un vuoto dentro quando devo far uscire uno di questi bastardi, o quando gli devo dire di comportarsi bene e mentre lo dico vedo gli occhi iniettati di sangue di chi sta solo aspettando di tornare a casa per finire quello che aveva cominciato….”.

A introdurre la narrazione un messaggio amaro: che senso ha chiedere aiuto? Perché non ci aiuta nessuno, a noi donne. Abbiamo solo una possibilità. Fuggire dove non ci possono trovare, oppure eliminarli.

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