Questo sabato 23 dicembre a Sperlonga, alle 18.00, presso l’Auditorium comunale, ci sarà la presentazione della raccolta di poesie “La stanza di Ippocrate” di Leone d’Ambrosio. A seguire musica dal vivo con la Quizàs Band.
Il poeta Leone D’Ambrosio e la Quizàs Band saranno i protagonisti del secondo appuntamento degli “Incontri con gli autori”, il prossimo sabato 23 Dicembre alle 18, organizzati dal Comune di Sperlonga in occasione delle festività natalizie.
Nato a Marsiglia e residente a Latina, Leone D’Ambrosio è nel cuore e nel sangue, da sempre, cittadino sperlongano.
Torna a Sperlonga, sabato per presentare la sua ultima pubblicazione: “La stanza di Ippocrate” edita da Laterza. A presentarlo saranno lo scrittore Pietro Vitelli e l’avvocato Angelo Palmieri.
Leone D’Ambrosio, giornalista, ricercatore in italianistica presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata, ha pubblicato diversi libri di poesie e di critica letteraria in Italia, Francia, Venezuela, Spagna, Romania, Stati Uniti. I suoi testi sono stati tradotti anche in tedesco, portoghese, polacco e in russo da Evgenij Solonovich, si sono occupati di lui i maggiori critici italiani e stranieri e ha ricevuto importanti premi in Italia e all’estero.
Un bel libro, una poesia matura quella di Leone D’Ambrosio che raccoglie versi dedicati a ricordi e a grandi personaggi della letteratura e non che ha conosciuto e dei quali è stato amico, come Stanislao Nievo, Natalia Ginzburg, Maria Luisa Spaziani, Yves Bonnefoy, Philippe Jaccottet e tanti altri.
“Se nelle civiltà antiche la prima forma di medicina era teurgica, perché si pensava che la malattia fosse causata da certe divinità, più tardi, invece, il pensiero d’Ippocrate rappresentò un cambiamento determinante nel considerare naturali le sue cause e non divine in quanto antagonismo di vita e di morte. Spesso i luoghi della malattia sono dimore di guarigione o di lutto; altre volte la stanza di un nosocomio diventa agorà di meditazione, di conoscenza, d’incontro. Allora, come nella visione greca della sofferenza, questi luoghi sono da considerare un vero e proprio spazio della poiesis intesa come l’agire riflessivo in cui l’ascolto e l’attenzione alle storie convengono a una comprensione della malattia e del dolore, della vita e della morte.”
È quanto scrive Leone D’Ambrosio nella nota alla sua ultima raccolta di poesie che ha il titolo “La stanza d’Ippocrate” (pp. 88, Edizioni G. Laterza, Bari, 2016) che ha le prefazioni di Leone Piccioni e di Maria Benedetta Cerro e in copertina Ippocrate e Galeno, un particolare dell’affresco nella cripta del Duomo di Anagni.
“La stanza d’Ippocrate di Leone D’Ambrosio ci regala la raccolta di una poesia limpida e chiara, patetica e familiare, forse con qualche reminiscenza pascoliana filtrata attraverso le esperienze dei maggiori poeti della seconda metà del secolo scorso.- scrive il critico letterario Leone Piccioni, allievo e amico di Giuseppe Ungaretti -. Alcune poesie sono dedicate al padre, alla madre (al poeta mi accomuna questo affetto) alla casa, al Sud: una ricorda De Libero, una Cardarelli e molto gentilmente anche a me, ed una che più mi ha toccato per Giovanni Paolo II papa Wojtyla. E in questa poesia c’è, dunque, amore, dolore: c’è la speranza. Nei versi di questa raccolta è come se il poeta attuasse una lotta tra il corpo e l’anima, tra la materia e l’essenza, tra la disperazione e la speranza, in cui si adombra la morte. Il testo poetico intessuto di una fitta rete di simboli segue un andamento classico, lineare e musicale. Sono poesie di grande interesse, con bellissime citazioni. Comunque, in questi versi noto una genuina e profonda ispirazione, e questo è già molto.”
“Il sentimento dell’irripetibile, dell’insufficienza e, in qualche modo, dell’irreparabile genera versi essenziali e lapidari, tanto più limpidi e incisivi, quanto più profondamente originati dalla radice del dolore – scrive la poetessa Maria Benedetta Cerro. – Ciò che è indicibile trova compimento nel verso, nella folgorazione che fissa per sempre il momento che trasforma il macigno nella leggerezza della musica e del canto. Poesia autentica, dalle immagini forti e suggestive, che ci convoca alla resa dei conti con un destino fraterno e parallelo, con il concetto della morte che è (e cito un mio verso) l’unica perfezione concessa alla vita”.
“Dunque, se la stanza è da considerare un componimento poetico o musicale, attraverso la malattia e la sofferenza siamo chiamati a riconsiderare la nostra identità, la nostra esperienza di vita, da qui la rivisitazione della storia personale, delle amicizie, delle confessioni e delle vicende quotidiane – scrive ancora nella sua nota l’autore -. Tuttavia, Sant’Agostino pensava alla morte come un evento che soltanto se ci tocca da molto vicino si comprende davvero. Se la malattia e la guarigione hanno una propria morfologia è anche vero che questa afflizione la si percepisce ogni qualvolta il nostro pensiero va a una persona cara, anche se non c’è più, e che ha un posto tutto suo ne La stanza d’Ippocrate.”