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Tenta di portare 20 grammi di cocaina al figlio 45enne detenuto in carcere a Velletri: madre in manette.

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Tenta di portare 20 grammi di cocaina al figlio 45enne, detenuto in carcere a Velletri per rapina. Gli agenti di Polizia Penitenziaria hanno sequestrato lo stupefacente, che era ben occultato, è tratto in arresto una donna che, ieri mattina, era stata ammessa in carcere per un colloquio con il figlio. Il Sappe, il sindacato della categoria, torna a richiamare l’attenzione dei vertici regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria “affinché vengano date risposte concrete, – dicono – alla risoluzione delle problematiche in atto nel penitenziario di Velletri e vengano forniti adeguati strumenti tecnologici di controllo”.

Ricostruisce i fatti Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria:

“Nella tarda mattinata, la madre di un detenuto che aveva fatto ingresso in carcere per il colloquio con il figlio detenuto è stata sorpresa mentre tentata di passare della droga, poi quantificata in venti grammi di cocaina, all’uomo, 45 anni e ristretto per il reato di rapina.

Apprezzamento al personale di Polizia Penitenziaria che, ancora una volta, con grande professionalità ed astuzia ha stroncato sul nascere l’introduzione in carcere di sostanze stupefacenti”, conclude Somma.

Donato Capece, segretario generale del SAPPE, evidenzia che  “il primo e più rappresentativo Sindacato della Categoria, il Sappe, torna a richiamare l’attenzione dei vertici regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria affinché vengano date risposte concrete, alla risoluzione delle problematiche in atto nel penitenziario di Velletri, anche dotando le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, da sempre in prima linea sul fronte dell’ingresso e possesso di droga in carcere, di adeguati strumenti tecnologici di controllo.

Il problema dell’ingresso della droga in carcere – afferma – è questione ormai sempre più frequente, a causa dei tanti tossicodipendenti ristretti nelle strutture italiane. Rispetto a tale problema bisognerebbe fare molto di più, seguendo l’esempio del carcere di Rimini, dove da tanti anni esiste un piccolo reparto, con 16 posti, dedicato a soggetti tossicodipendenti, i quali sottoscrivono con l’amministrazione un programma di recupero, impegnandosi a non assumere sostanze alternative, come il metadone, a frequentare corsi di formazione, a lavorare.

Superato questo percorso iniziale – conclude Capece – vengono poi destinati alla comunità esterna e quasi tutti non fanno più ritorno in carcere, riducendo la recidiva quasi a zero. Peraltro, esiste una legislazione molto favorevole che consente a coloro che hanno superato, o abbiano in corso un programma di recupero, di uscire dal carcere. Questa è la strada da seguire per togliere dal carcere i tossicodipendenti e limitare sempre di più l’ingresso di sostanze stupefacenti, unito ovviamente a tutte le attività di prevenzione, come l’utilizzo delle unità cinofile, fondamentali nel contrasto dei tentativi illeciti e fraudolenti di ingresso e smercio di droghe in carcere”.

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