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Morì sull’Aurelia nel camion andato a fuoco, rinvio a giudizio per il datore di lavoro di Aprilia

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Morì in un incidente avvenuto sull’Aurelia, ad Orbetello, il camion finì fuori strada e si incendiò: era il 27 aprile del 2017. La vittima è Domenico Di Liscia, 40enne di Anzio, che si trovava alla guida di un autoarticolato carico di bottiglie d’acqua. Ieri mattina, presso il Tribunale di Grosseto, si è tenuta l’udienza preliminare a carico del datore di lavoro del 40enne, un 23enne imprenditore di Aprilia, già noto alle forze dell’ordine, ed ora rinviato a giudizio per omicidio stradale. Secondo l’accusa, infatti, il 23enne avrebbe fornito al suo dipendente un camion vecchio, non collaudato, su cui era stato montato un serbatoio supplementare da 600 litri, probabilmente abusivo, che sarebbe risultato fatale a causa dell’incendio. Il 23enne dovrà comparire per il dibattimento il 30 maggio davanti al giudice Giovanni Puliatti. La famiglia di Domenico Di Liscia chiede giustizia, una pena esemplare e un risarcimento equo.

La nota dell’agenzia Studio 3 A che assiste i familiari della vittima.

L’udienza preliminare tenutasi giovedì 24 gennaio è durata pochi minuti. Accogliendo in pieno le richieste del Pubblico Ministero, dott.ssa Arianna Ciavattini, e dei legali delle parti offese, costituitesi parte civile, il Gup del Tribunale di Grosseto, dott. Marco Mezzaluna, senza indugio ha rinviato a giudizio Riccardo P., il cui avvocato difensore non ha chiesto riti alternativi. L’appena 23enne imprenditore di Aprilia, ma con già alle spalle diversi “guai” con la giustizia, deve risponderedel reato di omicidio stradale per aver causato la morte del suo dipendente, il camionista 40enne Domenico Di Liscia, di Anzio,avendogli fornito un camion vecchio, non collaudato e soprattutto“elaborato” con un serbatoio supplementare di carburante “abusivo” risultato fatale. L’imputato dovrà comparire il 30 maggio, avanti al giudice Giovanni Puliatti,per la prima udienza del dibattimento.

Il tragico incidente costato la vita a Di Liscia è successo il 27 aprile 2017, nel territorio di Orbetello: quella sera, poco dopo le 22, il camionista, che lavorava per conto dell’impresa di trasporti di Aprilia del 23enne, procedeva sull’Aurelia, in direzione Grosseto-Roma, con un autoarticolato Scania carico di bottiglie d’acqua, quando, all’altezza del km 148+900, presso Albinia, ha improvvisamente perso il controllo del mezzo pesante che è andato a sbattere contro il guardrail, si è ribaltato, finendo di traverso alla strada, e ha preso fuoco: in pochi secondi anche la cabina è stata avvolta dalle fiamme e per il conducente non c’è stato scampo, è morto carbonizzato. Una fine orribile. Ai primi soccorritori, i vigili del fuoco e i carabinieri di Albinia, si è presentata una scena straziante.

Sembrava una “semplice” fuoriuscita autonoma, si pensava al “solito” colpo di sonno o a un malore, ma i familiari della vittima fin da subito non riuscivano a capacitarsi di quell’incidente: il loro caro era sempre stato attento e scrupoloso al volante, nel lavoro che svolgeva da una vita, quello di autotrasportatore. Per fare piena luce sui fatti e per essere assistita, dunque, la famiglia Di Liscia, attraverso il consulente personale Angelo Novelli, si è affidata a Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini. E presto è emersa un’altra, sconcertante verità, grazie anche allo scrupolo con cui la Procura di Grosseto, dopo aver aperto da prassi un procedimento penale, ha condotto le indagini.

Il Sostituto Procuratore titolare del fascicolo, dott.ssa Arianna Ciavattini, ha chiesto e acquisito, tra gli altri, il rapporto dei carabinieri, il disco cronotachigrafico del veicolo, l’informativa della polizia municipale di Orbetello con allegata la denuncia di infortunio sul lavoro, l’informativa dell’ufficio Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro (Pisll) con le risposte ai quesiti posti alla Motorizzazione Civile e al Pra di Grosseto. E, soprattutto, ha disposto sia l’esame autoptico sulla salma per stabilire la causa del decesso, incaricando come proprio consulente medico legale il dott. Matteo Benvenuti, sia la perizia cinematica per chiarire dinamica e cause del sinistro, affidata all’ing. Silvio Magni, che ha esaminato anche l’autoarticolato. Ed è qui che sono emerse le gravi violazioni che hanno portato il Sostituto Procuratore a chiedere, con atto del 4 luglio 2018, il rinvio a giudizio del datore di lavoro della vittima, peraltro già noto alle forze dell’ordine, nonostante la giovane età, essendo finito al centro di altre complesse inchieste della Procura.

Il giovane “imprenditore” è stato accusato del reato di omicidio stradale, perché “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché nella violazione delle disposizioni normative in rubrica (si veda l’art. 78 del Codice della Strada, “Modifiche delle caratteristiche costruttive dei veicoli in circolazione”, ndr), ha messo a disposizione per l’espletamento dell’attività lavorativa del dipendente Domenico Di Liscia un autoarticolato, immatricolato nel 1997, non idoneo ai fini della sicurezza del lavoratore”. La dott.ssa Ciavattini imputa al titolare della ditta “di aver omesso di sottoporre il veicolo a motore e il rimorchio a visita e prova (ovvero al collaudo) presso i competenti uffici della Direzione Generale della Motorizzazione Civile”, e “di non aver provveduto ad aggiornare la carta di circolazione del veicolo a fronte dell’installazione di un serbatoio supplementare di 600 litri collocato sulla destra del trattore”.

Una modifica “fuori legge” risultata determinante nella tragedia perché, conclude il Pm, “all’atto dello scontro dell’autoarticolato con la barriera stradale in new jersey, e del successivo ribaltamento del mezzo su se stesso, per effetto del corto circuito determinato dal danneggiamento dei cavi dell’impianto elettrico a servizio del trattore, si generava un violento innalzamento della temperatura che costituì punto d’innesco di un forte e subitaneo incendio, provocato dalla dispersione del gasolio fuoriuscito per effetto della rottura proprio del predetto serbatoio di destra. Incendio che avvolse in pochi istanti l’abitacolo, determinando la morte per shock termico di Di Liscia che era alla guida del veicolo”, e che quindi, se la cabina non fosse andata a fuoco, si sarebbe salvato.

Ora la mamma e i fratelli di Domenico Di Liscia, e Studio 3A che li assiste, si aspettano giustizia e una pena esemplare, non solo per la vittima ma anche per i tanti, troppi lavoratori che non vengono messi in condizione di svolgere il loro lavoro in sicurezza, non ultima la categoria degli autotrasportatori costretti spesso a macinare migliaia di chilometri con mezzi e ritmi che rappresentano un pericolo costante, per loro e per gli altri. E si aspettano anche un equo risarcimento: nonostante le pesanti responsabilità emerse a carico del suo titolare, ad ora l’impresa non ha risposto a nessuna delle richieste danni presentate da Studio 3A, non fornendo neppure le coperture assicurative.

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